Caffè amore mio
Trovereste nel mio sangue più caffeina che globuli rossi perché ne prendo sei, sette al giorno. “Ma così non dormi!” Macché, non dormo se non li prendo; il caffè è un viatico, un faro nella tempesta, un sorso d’acqua durante la maratona.
Ma se quello preso a casa è un metodo il caffè al bar è pura arte, strategia creativa senza pari.
Appoggiato al banco mi piace studiare la scenografia attorno alla macchina del caffé; la parte che recitano le tazzine e come vengono riposte, i piattini, i cucchiaini che tintinnano, il rumore del macinino.
La macinatura frantuma i chicchi e consente all’acqua di estrarne le sostanze che daranno corpo al caffé; macinarlo troppo fine rallenterebbe il cammino dell’acqua e il caffè verrebbe bruciato, al contrario una macinatura grossolana darebbe luogo a una bevanda acquosa e senza corpo.
Converrebbe fare il caffè subito dopo averlo macinato (“espresso” vuol dire appunto fatto sul momento, fatto apposta per noi) così che non abbia il tempo di ossidarsi e perdere parte degli aromi. L’aroma è una scia che mi fa viaggiare per i continenti; ci puoi sentire il fiorito e la landa desertica assieme perché un buon caffè è sempre una miscela di varietà e conserva gli odori dei luoghi dove è nato; come la giacca del viaggiatore che a odorarala ci puoi sentire i posti in cui è stato.
Non più di 25 secondi deve durare l’estrazione del caffè, il tempo giusto perché tu possa guardare la fila degli alcolici, i gelati, lo specchio e il locale come è tenuto.
Mi piace corto il caffè, non più di 20 ml; deve scomparire in maniera repentina, come le meteore che vedi per un solo istante ma in quell’attimo le conosci. Corto, come di cosa sfiorata perché non è detto che bisogna toccarle le cose per assaporarle, a volte le sfiori e sono tue.
Lo voglio con una crema color nocciola, densa, con lo zucchero che vi affonda piano. Pochissimo zucchero o addirittura amaro, come è amarognola la vita che se così non fosse vivremmo appagati e non tenteremmo azioni o accenderemmo fuochi che si vedano da lontano. Il caffé è consapevolezza di sé e lo è ancor di più se amaro; non sazia, non ubriaca, non fa dimenticare i problemi piuttosto li mette a nudo.
L’acqua prima del caffè? Si, a preparare la bocca, a depauperarla dei sapori stantii che la abitano, a restituire verginità al palato. La bocca dev’ essere come un talamo nuziale la prima notte. Acqua prima e mai dopo; l’aroma del caffè deve conservarsi nella bocca il più possibile.
Caldo, si beve caldo, sempre sopra i 60°, a sorsi piccolissimi e frequenti che se nulla è eterno tutto deve durare il tempo giusto.
Bevete, posate la tazzina e non toccatela più; soprattutto non rimestate il fondo per raccoglierne lo zucchero; sarebbe il tentativo goffo di violare un mistero, sarebbe sollevare il sipario di un palcoscenico o le gonne di una ragazza.
Il caffé è un frutto di cui si butta via buccia e polpa e si utilizza solo il seme. Un osso durissimo che per domare bisogna sottoporre al fuoco, macinare e far percorrere dall’acqua bollente. Eppure nulla perde di sé e della sua forza.