A pesca d’inverno
Il motore stamattina per il freddo nemmeno parte al primo colpo, al quarto tentativo mi dico: “Se non parti ora me ne torno a casa”, invece parte con una sbuffata di fumo grigio; mollo gli ormeggi e vado. Quando esco in mare di mattina presto mi pare sempre di essere il primo a violarne la superficie così mi piace andare lento, con circospezione per non disturbare e nemmeno accelero, che poi accelerare non è il termine giusto che sopra i sette nodi non vado; d’altra parte il mio è un gozzo che si rispetta non come quelli di adesso che li fanno plananti e navigano alti sulla prua come motoscafi.
L’alba me la lascio alle spalle e alle spalle mi lascio la città dicembrina, fredda e immobile come un presepe. Oltrepasso la punta e la falesia, all’altezza della spiaggia spengo il motore e mi lascio trasportare dalla corrente. Si pesca così a seppie, senza motore, tutt’al più con i remi per aggiustarsi un poco. Una pesca facile; un’esca artificiale calata sul fondo e fatta saltellare a mezzo di piccoli strappi alla lenza; la seppia la scambia per un gambero e vi si lancia sopra senza vedere la corona di aghi che la cinge e vi rimane infissa. Qui dove sono ne prendo quattro, quando escono dall’acqua sputano inchiostro facendo “frrr” . La barca nel suo vagare alla deriva esplora buona parte della baia, più avanti c’è un promontorio dove di seppie ce ne sono sempre state, metto in moto e ci dirigo; ne prendo altre tre. Controllo le esche, le ripulisco dalle alghe, le calo giù; nessun rumore, ho gesti silenziosi e meccanici, da film muto; il mondo adesso è racchiuso tra una poppa e una prua.
Tira una lama fredda di vento freddo; abbottono il giaccone come si deve e calo il cappello sugli occhi. Scivolo lento su questa tavola d’acqua; dal cielo grigissimo filtra un raggio di sole, questo.