ottimistaperplesso

Quello che non siamo in grado di cambiare dobbiamo almeno descriverlo (R. W. Fassbinder)

Le lucciole di Marcovaldo

La sera dalla finestra di casa gli capitava di osservare il cielo; era racchiuso in uno spicchio  tra il terrazzo e un’antenna tv e a Marcovaldo quella postazione pareva una specie di telescopio puntato sulla notte. A dire il vero non vedeva granché, poche stelle, le lucette degli aerei e il bagliore del faretto  puntato sul cortile del palazzo vicino; la vista tipica delle case di città fatte per mangiarci e dormire e non per gli spazi e gli orizzonti. “E se una sera ce ne andassimo a passeggio per le campagne?”  disse una volta ai ragazzi. “Si, si!”-risposero. D’altra parte la campagna l’avevano vista sempre di giorno, come molti del resto che a pochi viene in mente di andarsene per i prati al buio, coi sentieri  già nascosti di giorno figuriamoci con l’oscurità. Detto fatto, la sera dopo con un cielo stellato che pareva fatto apposta, indossati gli zaini e le scarpe giuste si incamminarono per la collina che sovrastava la città. Per un po’ li accompagnarono le luci della periferia, via via più fioche  fino a scomparire del tutto quando cominciarono a salire e la strada si fece più stretta.  Si orientavano tenendo dietro le luci del faro e di lato  quelle di una barca in mezzo al mare; di tanto in tanto quando il sentiero si faceva più oscuro si aiutavano con una torcia. Procedevano in silenzio, un po’ per il timore, un po’ per l’emozione di trovarsi in un posto così strano e diverso rispetto a quelli frequentati in città.  Arrivarono a un pianoro dal quale non si vedeva più il faro né le luci della barca, solo il profilo delle chiome degli alberi e l’alone che la luce della luna proiettava. Poi vennero le lucciole. Prima una, poi due, poi furono decine. “Oh…”- fecero i ragazzi e restarono a bocca aperta Erano una moltitudine e brillavano tutt’attorno come a voler fare loro una sorpresa. A Marcovaldo pareva di stare a teatro con lo spettacolo che cominciava solo per loro.

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